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Riabbracceremo i nostri cari nella vita eterna?…

 

Caro direttore, ho letto sul Messaggero di marzo i vari e incalzanti interrogativi di un lettore: “In paradiso potrò rivedere tutti i miei cari?”. Ho apprezzato, caro direttore, la sua arricchente risposta. Inoltre, sono stato stimolato anch’io –non per completare – ad aggiungere una riflessione.

Su questo tema mi sembrano illuminanti due riferimenti. Il primo è tratto dal II libro dei Maccabei (7,1.25,31). Dopo il martirio del vecchio Eleazaro, viene descritto quello dei sette fratelli, cosiddetti maccabei, che insieme alla loro madre testimoniano eroicamente la fedeltà a Dio. L’eroismo raggiunge l’apice quando si arriva all’ultimo, al più giovane, che viene esortato coraggiosamente a resistere alle lusinghe di Antioco dalla stessa madre: “Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia”.  La fede nella risurrezione dei morti e la vita eterna insieme, è affermata esplicitamente, e sarà poi sviluppata pienamente nel Nuovo Testamento.

Il secondo riferimento – non biblico – lo attingiamo da S.Cipriano, vescovo e martire: “Accettiamo con gioia il giorno che assegna ciascuno di noi alla nostra vera dimora, al paradiso e al regno eterno. Là – sottolinea S.Cipriano – ci attende un gran numero dei nostri cari, ci desiderano i nostri genitori, i fratelli, i figli in festosa e gioconda compagnia, sicuri della propria felicità, ma ancora trepidanti per la nostra salvezza. Vederli, abbracciarli tutti: che gioia comune per loro e per noi”.

Vi sono, inoltre, parecchi santi e teologi che hanno manifestato chiaramente, con viva fede, la stessa certezza di poter riabbracciare i nostri cari nella pienezza della vita eterna. Con questa ardente aspirazione, nella prospettiva della Pasqua, un cordiale saluto in Cristo Risorto.

Renato Perlini – Verona –

 

Dopo il carnevale la Quaresima?…

 

E’ ancora possibile, nel 2013, riproporre la Quaresima? Questa benedetta Quaresima su la quale si è ironizzato tanto, quando i cristiani non l’hanno declassata a consuetudine puramente rituale? Una Quaresima limitata al fatto di dover cospargere di cenere il capo dei fedeli ; ridotta talvolta all’impegno di non mangiar carne ma pesce (per alcuni, perché no?, aragosta prelibata) nei venerdì fino a Pasqua. Cosicché il polemico Voltaire gridava ai preti: “A chi predicate la Quaresima? Ai ricchi? Ma non la fanno mai! Ai poveri? Ma la fanno tutto l’anno!…” Qualcuno ha, così, accusato i cattolici di aver inventato il carnevale e poi la Quaresima, quasi per scusarsi delle esagerazioni peccaminose dei giorni di baldoria…

Che cos’è la Quaresima? Essa è tutta orientata alla Pasqua. La Chiesa ha dato,  fin dai primi secoli, un rilievo particolare al periodo quaresimale, concepito come intensa preparazione, personale e comunitaria, alla Pasqua. La Quaresima, quindi, è tuttora il classico “tempo forte” di rinnovamento e di conversione. E’ la Chiesa intera, infatti, che rivive in pienezza Mistero pasquale di Cristo per rinnovare ogni anno, come la natura in primavera, la sua perenne giovinezza.

Purtroppo, molti cristiani (talvolta, forse, anche noi) non amano sentire parlare di Quaresima. E’ una parola che evoca tristezza: “Una faccia da quaresima”, si suol dire. Non si è capito lo stile di Gesù: “Quando digiunate non assumete aria malinconica”. Certamente, la Quaresima implica anche un impegno di penitenza, ma questa è la condizione per giungere alla gioia della Pasqua. In questa prospettiva, la Quaresima è caratterizzata da un triplice impegno: preghiera con l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio; spirito di penitenza; carità operosa che abbraccia anche il Terzo mondo.

Un cammino, quindi, di conversione che conduce a riscoprire la passione per l’annuncio del Vangelo, che dà senso, speranza e gioia alla vita. La Quaresima, allora, non sarà evasione dalla realtà quotidiana (pensiamo alla crisi economica, sociale e politica, a tante forme di corruzione e di violenza…). Al contrario,ci spingerà ad essere responsabilmente presenti e responsabili nella comunità ecclesiale e nella società civile. Siamo nell’Anno della fede. E, particolarmente in questa Quaresima , fraternamente insieme con il Papa.

L’oroscopo che cosa ci annuncia per il 2014?…

 

Sul finire di ogni anno e all’inizio del nuovo riaffiorano sempre, oltre i calendari con le “belloccie” di turno, anche il rilancio degli “oroscopi”, attraverso tivù, quotidiani e periodici (non, però, d’ispirazione cattolica). Naturalmente per conoscere tutte le previsioni su amore, affari, fortuna, successo…Sostando davanti a una edicola, ho visto sulla copertina di un settimanale l’annuncio di “Uno speciale su l’Oroscopo 2014!. Il vostro futuro, segno per segno, da Ariete ai Pesci”.

Che dire? Quante sciocchezze e balordaggini in nome delle stelle! Quanto durerà la mania degli oroscopi? C’è chi vi dà un’occhiata con una risata. Ma c’è anche chi dice: “Non è, forse, tutto vero ma posso crederci”. Nel nostro Belpaese  37 italiani su 100 consultano ogni giorno l’oroscopo e, la mattina, con il caffè si bevono le sicure previsioni alla luce delle stelle.

Nonostante i vistosi insuccessi, gli astrologi continuano imperterriti a vendere e propinare previsioni, sogni e vane speranze. E molti persistono a credervi. E le stelle, intanto, da lassù ci guardano e sorridono. Il famoso scienziato Antonio Zichichi ha scandito: “Gli oroscopi sono delle mistificazioni culturali. Sono dei grossolani imbrogli”. Maghi ed elaboratori di oroscopi incassano oltre 6 miliardi di euro all’anno e quasi nessuno paga le tasse: l’oroscopo non le prevede…

Allarmi esagerati? Dobbiamo riconoscere che la diffusione del fenomeno è preoccupante, perché è indice di uno smarrimento esistenziale e religioso. C’è chi dice che non pochi di questi oroscopo-dipendenti affermano di affidarsi agli astri perché non credono più in Dio. Dobbiamo stupirci? In realtà, chi ha smarrito la fede non è che non creda più a niente; al contrario, spesso crede a tutto: crede ai maghi, cartomanti, e naturalmente anche all’oroscopo. Dobbiamo, quindi, ricordare che il vero credente non può ridursi a credulone, cercando l’oroscopo come surrogato della fede.

Renato Perlini – Verona –

L’ABITO FA ANCHE IL PRETE…

   Bisogna abolire nella Chiesa titoli e abiti “pomposi”. Ma nel contempo è necessario, come ha scritto su FC n.52/2013 Laura Sanavio, che “I preti si facciano sempre conoscere”.

Da parecchio tempo c’è chi sostiene che il prete deve sforzarsi di “apparire” e di essere come gli altri. Doveva, quindi, archiviare la talare e poi anche il clergyman. E così, senza generalizzare, si vedono spesso sacerdoti e religiosi  -giovani e anziani – con jeans stinti, camicie e maglioni colorati. Che dire? Non si tratta d’imporre a tutti i costi una “divisa”, come i poliziotti, i pompieri, i medici…, ma solo ricordare che in questa società sempre più secolarizzata, incontrare visibilmente – per strada, in filobus, in treno o in aereo – un prete, può essere per non poche persone un richiamo alla fede, a dei valori forse eclissati.

“L’abito non fa il monaco” (né il prete). Ma è una espressione dimezzata, perché deriva da quella completa che puntualizza: “L’abito non fa il monaco, ma il buon monaco porta l’abito”. Altrimenti, da quali segni riconoscerò, nei vari ambienti, un prete, un religioso? C’è, però, chi ribatte che “non importa tanto la veste esteriore, quanto piuttosto il cuore del prete”. D’accordo: la santità del sacerdote è ben più importante della veste; ma perché queste due cose non possono coesistere positivamente insieme? Non si tratta, infatti, di dare rilievo all’esteriorità anziché all’interiorità. Ovviamente, vi sono molti altri valori, ma la veste del prete non è da “rottamare”.

E’ ovvio che non bisogna enfatizzare il problema, quasi che l’avvenire della “nuova evangelizzazione” dipenda dalla veste del prete. Tuttavia, non si tratta nemmeno di un aspetto marginale, perché rischia di essere emblematico di un atteggiamento rinunciatario dei preti, ma anche dei laici, nei confronti di un mondo all’insegna del dominante relativismo.

Non è, comunque, la mia una rampogna, ma l’invito a testimoniare, anche con la veste, la propria identità. Mai, forse, come oggi si è tanto parlato di testimonianza visibile e coerente. Ebbene, anche l’abito (non da solo) può essere segno di una viva fede in Cristo Gesù. Aggiungo, infine, che ci sono numerose e ripetute richieste di ogni Papa e dei vescovi per questa veste del prete. Perché non ascoltarle coerentemente?

Renato Perlini – Verona –

 

Riscoprire l’autentico Natale di Gesù…

   Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia”. Così abbiamo sentito nella Messa della notte del Natale di Gesù. Ma quest’anno il Natale è, invece, segnato dalla gravissima crisi economica, sociale e politica che fa vibrare tristemente anche il nostro Belpaese?…   Il Natale è ormai festeggiato in tanti Paesi del mondo. E di questo ci si può rallegrare. Se per assurdo scomparissero di colpo tutti i calendari e gli orologi, compreso quello del campanile della nostra parrocchia, ci sono tanti segni che ci richiamano questa grande festività. Senza ombra di pessimismo mi riaffiora, però, un dubbio: il Natale, pur con un generico richiamo ai valori, con una martellante pubblicità e la “caccia” al regalo (nonostante l’aumento del costo della vita per tante famiglie), si festeggia sempre più all’ombra di “Babbo natale”?…

   Lo “stupore, invece, dovrebbe essere il segno che il Natale continua a sorprenderci. Nei presepi che ricordo da bambino c’era sempre la statuina dello “stupito”: un uomo che, con la mano in fronte a modo di visiera, guardava la grotta tutto incantato. Così dovrebbe essere. Se venisse meno lo stupore del Natale – permeato di preghiera e di silenzio – vorrebbe dire che questo grande evento si è stemperato nella ovvietà; che abbiamo fatto il callo a tutto e siamo diventati cristiani abitudinari.        E’ necessario riscoprire il Natale di Gesù alla luce della fede; rimeditarlo in religioso ascolto della Parola di Dio, viverlo nella Liturgia. Solo così possiamo testimoniarlo con gioia e fraterna solidarietà.

Secondo il Vangelo, che non è un racconto di fiabe, il grande evento non è stato preceduto da fuochi d’artificio: “Troverete un bambino, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia”. E i pastori, quando sono giunti a Betlemme, così lo hanno visto. Che dire? Il Signore poteva salvarci con un colpo di “telecomando” a distanza. Ha voluto, invece, scendere in basso, in mezzo a noi. L’annuncio di gioia e di speranza che scaturisce dal Natale appare, però, un po’ strano alla nostra mentalità. Abituati a spot ridondanti d’immagini, ci sembra un annuncio fiacco e incolore. Questa esplosiva “lieta notizia”, sembra che manchi di una strategia convincente: come si fa a indicare un avvenimento che cambierà la storia e donerà la salvezza, la nascita di un bimbo “che giace in una mangiatoia”?  Ci vorrebbe ben altro per suscitare un’ardente attesa.

   C’è, forse, chi pensa che sarebbe stato opportuno differire la nascita di Gesù nel nostro tempo, per farla vedere “in diretta mondovisione” e, perché no?, su Internet, con l’aggiunta di foto con i “telefonini”… E, invece, niente da fare: tutto si è compiuto nel silenzio, attraverso le circostanze più umili e comuni. Eppure, sono passati secoli, ma quell’annuncio, fra la girandola di notizie presto cestinate, risuona ancora come l’evento più coinvolgente, perché riguarda ognuno di noi. Di questa notizia c’è chi, per viverla e testimoniarla, lascia tutto e parte a costo spesso di lasciarci la pelle. E’ storia recente, del nostro tempo.

   E’ necessario focalizzare, alla luce della fede, un’altra verità fondamentale. Il Natale di Gesù è ancora un annuncio gioioso e liberante perché è illuminato dalla Pasqua. Infatti, se Cristo non fosse morto e risorto, che senso avrebbe celebrarne la nascita? Sarebbe come echeggiare la nascita di Socrate, Platone, Aristotele, Ghandi… Ma Cristo è veramente risorto!  E ancora: dal Natale scaturisce il grande annunzio:” Oggi vi è nato il Salvatore, che è il Cristo Signore” ( Lc 2,10-11). E qui affiora un’altra difficoltà: la gioia del Natale è turbata anche quest’anno da tante sofferenze, ingiustizie, violenza,  dal terrorismo micidiale in vari Paesi. E, inoltre, dalla dura crisi – non solo economica – che coinvolge tutta l’Europa, e ancor di più il Terzo e Quarto mondo.

   Facciamo nostra, perciò, la preghiera della vigilia di Natale: “Affrettati, non tardare, Signore Gesù; la tua venuta dia conforto e speranza a coloro che confidano nel tuo amore misericordioso”. Una cosa è certa: Gesù è venuto e viene soprattutto per chi è immerso nel dolore, nel dubbio, nella oscura solitudine; viene per coloro che hanno bisogno di perdono, di giustizia, di speranza! Credo che ci siamo dentro tutti in questa lista, perché tutti abbiamo bisogno di essere salvati. Gesù ci doni la luce e la forza di credere, il coraggio di sperare, l’ardore e la gioia di amare!

Renato Perlini

 

 

 

 

 

Abolire “ titoli” e “vestiti” pomposi?…

     E’ noto che più volte, sulla stampa d’ispirazione cattolica, si è sviluppato un vivace dibattito sull’opportunità di abolire nella Chiesa i vari titoli “pomposi”: Sua Eccellenza  reverendissima, Eminenza, Monsignore… Vi sono certamente delle scelte più importanti e decisive nella vita ecclesiale, nell’impegno per la “nuova evangelizzazione”, ma talora sappiamo che “è il tono che fa la musica”: Papa Francesco ci fa da guida. Recentemente, quando ha telefonato a uno studente di Padova ha detto: “Credi che gli Apostoli dessero del lei a Gesù? O lo chiamassero sua Eccellenza?…”

Siamo nell’Anno della fede. E’ opportuno ricordare che durante il Concilio Vaticano II, in un documento firmato da oltre 500 vescovi (consegnato a Paolo VI), si proponeva un significativo rinnovamento: “Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignor). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di padre”. E ancora: “Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla ricchezza, specialmente negli abiti e nelle insegne (stoffe ricche, colori sgargianti)”. E’ tutto finito nel dimenticatoio? Vi sono ancora evidenti forti colori “rossi” sgargianti?…

Nel Sinodo, tenutosi a Roma nell’ottobre 2001 (sono passati parecchi anni, ma lo ricordo ancora), fu scandita una proposta dal vescovo equadoregno Corral Mantella: “La povertà evangelica chiede che rinunciamo ai titoli di Monsignor, Eccellenza, Eminenza e che ci facciamo chiamare semplicemente padri”. Una voce isolata? Scrisse il noto teologo cardinale Congar: “Sia permesso ai vescovi di archiviare i titoli… e di scegliere espressioni di stile più evangelico: padre, vescovo”. Anche il cardinale Hans Urs von Balthasar (il teologo più colto del secolo ventesimo, fu definito da De Lubac), affermò: “Nella Chiesa si dovrebbero abbandonare titoli invecchiati e cristianamente incomprensibili”.

Vi sono, inoltre, anche numerosi vescovi (compreso chiaramente il mio vescovo) e cardinali italiani che la pensano così. Per brevità ne echeggio solo due: Antonio Riboldi, vescovo emerito, così si espresse: “La gente mi chiama padre, oppure vescovo Antonio. L’Eccellenza lasciamola a chi vuole. Certo, se si decidesse di abolire questi appellativi spagnoleggianti, applaudirei!”. E il cardinale Ersilio Tonini: “Non c’è dubbio che in certi casi ci sia del pleonalismo. Eccellenza ed Eminenza sono da archiviare”. Speriamo che lo siano decisamente, perché i “titoli” riflettono una visione di Chiesa – senza generalizzare – che ci veniva prima del Concilio Vaticano II: una visione verticistica e clericale, che faceva emergere il potere più che la comunione in Cristo Gesù per un rinnovato impegno di evangelizzazione.

Renato Perlini – Verona

E’ necessaria nelle parrocchie anche la catechesi degli adulti.

 

 Papa Francesco, particolarmente ogni mercoledì, ci offre una arricchente catechesi. Recentemente si è svolto a Roma il “Congresso internazionale di catechesi”. Penso, quindi, che sia bene riflettere sul valore e l’attualità del “Catechismo della Chiesa cattolica”,  con particolare riferimento alla catechesi degli adulti. In questa prospettiva domandiamoci: nel mese di ottobre, nelle parrocchie della nostra diocesi viene proposta,  oltre la necessaria catechesi dei fanciulli e degli adolescenti, una sistematica e coinvolgente catechesi degli adulti?

 E’ stato ammesso più volte, anche dalla Cei, che la catechesi in Italia è purtroppo ancora in prevalenza orientata verso i bambini e i ragazzi. Infatti, senza generalizzare, in molte parrocchie – anche della nostra diocesi – non c’è una catechesi degli adulti organica e permanente. Eppure, così si espresse già Giovanni Paolo II: “Si tratta del problema centrale della catechesi degli adulti. E’ questa la principale forma di catechesi, in quanto si rivolge a persone che hanno le più grandi responsabilità e la capacità di vivere il messaggio cristiano nella sua forma più sviluppata. La comunità cristiana non potrebbe fare una catechesi permanente senza la diretta partecipazione degli adulti, siano essi i destinatari o i promotori dell’attività catechistica” (Catechesi tradendae,43)   Questi insistenti richiami – ribaditi da Benedetto XVI   e anche  da Papa Francesco – sono stati più volte condivisi dai vescovi italiani. Il nostro vescovo Giuseppe Zenti, alla luce dell’Anno della fede, offre su “Verona fedele” una interessante riflessione sul Catechismo della Chiesa Cattolica. “Vi si trova  – ha sottolineato – il patrimonio della fede cattolica presentato in forma sistematica”.

 Ma perché insistere tanto sulla catechesi? Ricordiamo che essa è una esperienza antica e radicata nella Chiesa: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (Atti 2,42). E nel nostro tempo? Nella nostra società pluralista secolarizzata (“erotizzata”…), bombardata dai mass media, la Chiesa può annunciare il Vangelo anzitutto con la maturità di fede degli adulti. “La catechesi – ci ricorda il Concilio – dà luce e forza alla fede, nutre la vita secondo lo Spirito di Cristo, aiuta a partecipare in maniera consapevole alla Liturgia, è stimolo all’azione apostolica” (Dichiarazione su l’Educazione cristiana). Una catechesi, quindi, “più sostanziosa e completa”, articolata in quattro parti: “La professione della fede”, il Credo. “La celebrazione del mistero cristiano”, con i Sacramenti in primo piano. “La vita in Cristo”, con l’agire cristiano a partire dai comandamenti. “La preghiera cristiana”.

 E’ necessario, perciò, senza dimenticare i fanciulli, gli adolescenti e i giovani, puntare maggiormente sugli adulti. Si dirà che in molte parrocchie c’è l’incontro, la risonanza liturgica e di preghiera, che praticamente sono una catechesi. Che dire? La catechesi degli adulti, sulla traccia del Catechismo della Chiesa cattolica, è insostituibile. Ulteriori iniziative e proposte non possono assolutamente sostituirsi al Catechismo; ne possono solo costituire uno sviluppo e un arricchimento.

Naturalmente, la catechesi degli adulti non è una fredda lezioncina calata dall’alto; non è solo istruzione e spiegazione dottrinale. Deve essere una catechesi biblica, intrinsecamente collegata con i “segni dei tempi”, coinvolgendo la vita personale e familiare, in un clima di fraterna amicizia. Deve, insomma, alla luce anche della Dottrina sociale della Chiesa,segnare un cammino formativo per crescere nella fede e nell’impegno apostolico, per testimoniare e annunciare il Vangelo nel nostro tempo.

Renato Perlini

Papa Francesco: “Non lasciatevi rubare la speranza!”…

 

   Viviamo in un’Italia stressata? Molti guardano con scetticismo al futuro. Un Belpaese con poche certezze e tanta paura? Crescente paura di non riuscire a trovare un lavoro o di perderlo; paura di vedere erodersi la pensione; paure di fronte alla grave e persistente crisi economica, sociale e politica, che è anzitutto una crisi culturale, morale e religiosa.  Alla luce di questa dura realtà, emerge un interrogativo: la paura si sta diffondendo anche in non poche parrocchie, frenando l’impegno per una “nuova evangelizzazione”. Sappiamo che la paura, quando è diffusa largamente, genera pessimismo e spegne la speranza.

 

   Papa Francesco recentemente ha scandito: “Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! Non lasciatevi rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù”.

 

Il nostro tempo presenta evidenti segni positivi, ma si caratterizza, purtroppo, anche per una crescente sfiducia, per una mancanza di gioia e di speranza. Per cui si vedono spesso cristiani, pur assiduamente impegnati, con la “musonite acuta”. Quale controindicazione: parrucchiere calvo che reclamizza un prodotto per la ricrescita rapida dei capelli… Nietzsche, acido profeta dell’ateismo, non aveva tutti i torti quando scriveva con tono di sfida queste parole: “I cristiani bisogna che mi cantino canti migliori affinché io creda al loro Salvatore; bisogna che mi presentino un volto più sorridente e un’aria da uomini liberati” (Così parlò Zarathustra).

 

   Cantare “canti migliori” e presentare un volto più sorridente”, non è sempre facile nel nostro tempo. Di fronte al terrorismo micidiale sulla “maratona” di Boston e al terremoto in Iran; di fronte a un mondo lacerato dalla violenza criminale, da egoismi, corruzione, evasione fiscale, mafia e ingiustizie (fatti che rimbalzano quotidianamente dalla tivù ai giornali); di fronte alla crisi della famiglia, al diffondersi del divorzio, convivenze e matrimoni omosessuali…, della pornografia  e della droga (l’elenco potrebbe allungarsi), c’è chi è tentato di credere che tutto vada in rovina, che l’umanità sfugga a un piano di salvezza. In questo nostro tempo tormentato, com’è possibile annunciare ancora gioia e speranza?

 

A proposito dei tempi difficili, già sant’Agostino acutamente osservava: “Troverai degli uomini che si lamentano dei loro tempi, convinti che solo i tempi passati siano stati belli. Ma si può essere sicuri che, se costoro potessero riportarsi all’epoca dei loro antenati, non mancherebbero di lamentarsi ugualmente”. La prima cosa, perciò, che si chiede a noi cristiani è che, nonostante tutto, amiamo il nostro tempo. Che ci impegniamo appassionatamente, ma che non ci angustiamo troppo. I tempi difficili sono una sfida a non rannicchiarci in noi stessi, a non accettare passivamente il male e la violenza, ma convertirci al Vangelo suscitando un rinnovato impegno per la giustizia e la pace nel mondo.

 

Alla luce della fede, i segni, quindi, di una testimonianza cristiana sono la gioia, la speranza e la carità operosa. Naturalmente, non si tratta di una gioiosità festaiola e banale. Parlare della gioia e della speranza cristiana non vuol dire ignorare il male, il dolore e la morte. Significa riscoprire il senso autentico della vita . Sapendo che la realtà è sempre variegata: pure nella storia di oggi, si trovano pertanto accostati e talvolta intrecciati tra loro, la verità e la menzogna, il bene e il male, l’angoscia e la speranza. Nonostante tutto, possiamo e dobbiamo sempre sperare: la salvezza in Cristo Gesù è il messaggio che la Chiesa annuncia e testimonia a tutti anche nel nostro tempo.

Renato Perlini

 

La luce della Pasqua

 

Papa Francesco, nel messaggio del giorno di Pasqua, ha scandito: “Che grande gioia per me potervi dare questo annuncio: Cristo è risorto! Vorrei che giungesse in ogni casa, in ogni famiglia, specialmente dove vi è più sofferenza” … Ma questo strepitoso annuncio è accolto con viva fede nel nostro tempo?

Un film americano di molti anni fa svolgeva la seguente trama. A Gerusalemme un famoso archeologo sta eseguendo degli scavi nella zona del Calvario. Un giorno egli annuncia di aver fatto una sensazionale scoperta: E’ venuto alla luce il sepolcro dove fu deposto Gesù. Il sepolcro però non è vuoto! V’è dentro un cadavere mummificato, che l’archeologo mostra alla gente e ai giornalisti di tutto il mondo accorsi all’inatteso annuncio. Non è dunque vero che Cristo sia risorto.

La notizia esplosiva si diffonde attraverso la tivù, la radio e i giornali. Tutto ciò che parla di Gesù e della Chiesa è destinato a sparire. Ma ecco che il celebre archeologo, dopo alcuni anni, confessa in punto di morte che si trattava di una colossale montatura da lui ideata: il sepolcro era davvero vuoto; il cadavere mummificato era un falso. Il film (mi sembra che il titolo fosse: “Il mondo delle tenebre”) era piuttosto gracile, ma aveva un grande merito: dimostrare che nulla è così importante e fondamentale per il mondo intero, quanto sapere ciò che accadde quel mattino di Pasqua.

Se Cristo non fosse risorto i cristiani sarebbero dei sognatori, dei venditori di fumo… Ma “Cristo è veramente risorto!”. Questo grido – annuncio, scaturito dal cuore dei discepoli nel giorno di Pasqua, ha attraversato i secoli e risuona forte anche oggi. Sorgente della fede è Cristo risorto. San Paolo, scrivendo ai Corinzi, dopo aver con puntiglio ricordato che Cristo risuscitato apparve a Pietro e poi ai Dodici, nonché a cinquecento fratelli in una sola volta, afferma incisivamente: “Se Cristo non è risuscitato, allora vana è la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede”. Se Cristo, infatti, non fosse risorto i cristiani sarebbero degli illusi, dei sognatori. Ma Cristo è risorto!

La Pasqua è, quindi, l’epicentro della fede cristiana. Essa, particolarmente oggi, ci raggiunge come un grande messaggio di speranza per non smarrirci di fronte al dolore e alle sfide incalzanti del nostro tempo. Ormai siamo certi che le tenebre del male, del terrorismo, della violenza e della morte, che vediamo enfatizzate ogni giorno, per quanto oscure e minacciose, non possono vincere la luce sfolgorante della risurrezione di Cristo.

Renato Perlini – Verona –

Che cosa ci dice l’oroscopo per il 2013?…

 

Sul finire di ogni anno e all’inizio del nuovo riaffiorano sempre, oltre i calendari con le “bellocce” di turno, anche il rilancio degli “oroscopi”, attraverso tivù, quotidiani, periodici…(non, però, d’ispirazione cattolica). Naturalmente per conoscere tutte le previsioni su amore, affari, fortuna, successo… Sostando recentemente davanti a una edicola, ho visto sulla copertina di un settimanale d’avanguardia, l’annuncio di “Uno speciale di ben 27 pagine su L’Oroscopo 2013!. Il vostro futuro, segno per segno” (da “ariete” “ai pesci”). Che dire?

In un passato non troppo remoto, maghi, santoni e fattucchiere erano ritenute appannaggio del sottosviluppo. Oggi non è più così: il fenomeno magico e divinatorio interessa tutto il nostro Belpaese ed è quadruplice: astrologia, cartomanzia, chiromanzia, spiritismo e negromanzia. Essendo una tematica molto ampia, limitiamoci a riflettere su l’”astrologia”, con il relativo oroscopo di turno.  Pur essendo passati alcuni anni, ricordo ancora il pressante invito ad abbonarmi a una rivista, con allegato un opuscolo a colori, all’insegna dell’”oroscopo” personale. Inoltre, con un incalzante interrogativo: “Che cosa ci dicono le stelle per il nuovo Anno?”

Quante sciocchezze e balordaggini in nome delle stelle!  Quanto durerà la mania degli oroscopi? C’è chi vi dà un’occhiata con una risata. Ma c’è anche chi dice: “Non è, forse, tutto vero ma posso crederci”. Sono, infatti, sempre più quelli che nella nostra Italia ci credono: 37 italiani su cento consultano ogni giorno l’oroscopo e, la mattina, con il caffè si bevono le sicure previsioni alla luce delle stelle.

La superstizione, purtroppo, è viva e vegeta. Le migliaia di maghi ed elaboratori di oroscopi incassano oltre 6 miliardi di euro all’anno e quasi nessuno paga le tasse (l’oroscopo non le prevede…).Ricordiamo, inoltre, che l’oroscopo non è una invenzione dei nostri tempi. Già nel IV secolo dopo Cristo c’era chi andava matto per lo zodiaco. Gli astrologi che sfornano oroscopi, contano sempre sulla memoria corta dei creduloni. A rovinare la festa agli astrologi  c’è, ogni fine anno”, chi pubblica l’elenco degli avvenimenti che “i professionisti delle stelle” non hanno saputo prevedere, o che hanno falsamente preteso di preannunciare: una girandola di scempiaggini, bufale e cantonate.

A titolo indicativo riecheggio una lettera firmata, che mi è rimasta particolarmente impressa, pubblicata su un quotidiano:“Come ogni anno, allo scadere della mezzanotte del 31 dicembre, ho aperto la busta dove, un anno prima, avevo sigillato un periodico di astrologia. Quanto al mio personale oroscopo, prevedeva per me un’ottima e prolungata salute. E’ stato, invece, un anno in cui mi hanno fatto 5 bypass, seguiti da broncopolmonite acuta. Congratulazioni all’astrologo!…”.

Nonostante, però, i vistosi insuccessi, gli astrologi continuano imperterriti a vendere e propinareprevisioni, sogni e vane speranze. E molti persistono a credervi. E le stelle, intanto, da lassù ci guardano e sorridono. Il famoso scienziato Antonio Zichichi ha scandito: “Gli oroscopi sono delle mistificazioni culturali. Sono dei grossolani imbrogli. Ancor oggi siamo costretti a doverlo ribadire; la gente deve sapere che la comunità scientifica internazionale sta lavorando per metterli al bando in tutti i Paesi del Mondo”. Allarmi esagerati? Dobbiamo riconoscere che la diffusione del fenomeno è preoccupante, perché è indice di uno smarrimento esistenziale e religioso.

C’è chi dice che non pochi di questi oroscopo-dipendenti affermano di affidarsi agli astri perché non credono più in Dio. Dobbiamo stupirci? In realtà, come puntualizza Chesterton, chi ha smarrito la fede non è che non creda più a niente; al contrario, crede a tutto: crede ai maghi, cartomanti, ciarlatani e, naturalmente, anche all’oroscopo. Dobbiamo, quindi, particolarmente nell’”Anno della fede”, ricordare che il vero credente  non può ridursi a credulone, cercando l’oroscopo come surrogato della fede.

Renato Perlini